L’incontro con un giovane artista è sempre entusiasmante.
Di Marilina Marchica conoscevo la produzione visitando le collettive dove ha esposto e attraverso le immagini che lei stessa veicola sui social.
Le prima sensazioni che le opere di Marilina suscitano sono di una materia familiare, invitante, quasi tattile, e sono percezioni che vanno costruendo, poco a poco, piccoli depositi di memoria.
L’idea parte dal muro, il degrado, il deterioramento, l’impronta, le incisioni e i segni, che formano le sue parti, ed oltre: con lo scorrere del tempo anche ciò che gli era estraneo, in superfice, è passato a far parte del muro. L’incisione, il solco, il colpo, la cavità, la perforazione, sono elementi che, sebbene originariamente non facessero parte del muro, con il passare del tempo finiranno per appartenergli.
Da questo topos iniziale, comincia il progetto comunicativo di Marilina Marchica, il grafema si espande e raggiunge la dimensione del paesaggio (Landscapes#), altre volte si riduce ad una ricerca segnica (Signs#).
Ogni opera è una complessa narrazione, che racconta di terra, di silenzio, di memoria, di fragilità.
La pubblicazione di questo volume e la prima mostra personale di Marilina Marchica, con la cura ed il testo critico della professoressa Cristina Costanzo e i contributi di Alfonso Leto e Dario Orphée, che ringrazio, dà il via, in un contesto di prima storicizzazione, alla carriera della giovane pittrice, secondo i canoni che l’odierno sistema dell’arte pretende.
La FAM Gallery continua con tenacia il suo impegno nel promuovere i giovani artisti con la certezza che talenti come Marilina Marchica troveranno
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